Fiorblock - L'Abete

L'Abete


L’abete cresce nell’emisfero boreale, in zone fredde e temperate. In Europa si trova soprattutto sulle Alpi, in Francia, Svizzera, su Pirenei, Carpazi e Alpi transilvaniche. Sulle Alpi italiane cresce nel settore centro orientale più che in quello occidentale e vive tra gli 800-1600 metri di altitudine. Si trova anche lungo l’Appennino fino alla Calabria tra gli 800 e i 1800 metri. Vegeta nel piano montano e forma boschi puri o misti (abete bianco, rosso e faggio). È una specie moderatamente termofila, resiste alle gelate invernali ma ha bisogno di estati calde e necessita di una buona umidità atmosferica. Per quanto riguarda il terreno non ha particolare esigenze ma deve essere profondo, umido e senza ristagni di umidità che favoriscono il marciume radicale. Per crescere bene ha bisogno di un ambiente ombreggiato, di spazio e luce. Per questo motivo le abetine pure sono generalmente mantenute in modo artificiale: gli abeti hanno un’incapacità di rinnovarsi sotto la propria copertura e quindi un’abetina pura lasciata a se stessa tende ad evolversi in un bosco misto. Si tratta di un albero di prima grandezza, molto longevo che può arrivare a 50 metri di altezza, ha un tronco diritto e colonnare e una chioma piramidale; la sua corteccia è liscia di colore bianco grigiastro da giovane, poi screpolata, più scura con bolle di resina, i rami sono orizzontali e verticillati, i rametti distici e pubescenti. Istruzioni per l’uso: Il legno di abete appena segato è fresco e bianco, mentre stagionando diventa giallo pallido. Si lavora facilmente, è solido, elastico e si può rifinire bene. Col fusto si fabbricano pali, antenne, alberi di barche e costruzioni in genere. Può essere lavorato al tornio e utilizzato per mobili, cornici e strumenti musicali. Il legno dell’abete bianco viene anche utilizzato per imballaggi e pasta di carta

L'abete bianco è un albero sempreverde e monoico, cioè presenta sulla stessa pianta fiori maschili e femminili distinti e separati. Vive ad altitudini comprese fra 400 e 1900 metri e risulta essere un albero molto longevo: può raggiungere, infatti, i seicento anni d'età. L'abete bianco è una specie sciafila (che può vivere, cioè, in zone d'ombra); allo stato di giovane, tale abete può restare sotto copertura anche per trent'anni, con conseguente malformazione del fusto, mentre allo stato adulto ha la necessità di vegetare in piena luce. L'abete bianco ama l'umidità, terreni freschi e profondi, tipici delle zone ombreggiate e molto piovose.

L'abete bianco può crescere fino a un'altezza di circa 50 metri, presenta un fusto diritto che può arrivare ad un diametro di 3 metri. Se la pianta cresce isolata, il fusto si caratterizza fin dalla base dalla presenza di fitti rami, se invece la pianta cresce a stretto contatto con altre, il fusto risulta spoglio per una ragguardevole parte della sua altezza. La chioma, di colore verde-blu cupo, ha forma piramidale negli esemplari giovani, mentre negli adulti (dopo i 60-80 anni) si forma un appiattimento, definito "nido di cicogna", in quanto la punta principale ferma la crescita e i rami sottostanti continuano a svilupparsi fino a formare una specie di conca. Tale pianta ha una ramificazione molto regolare: i rami principali sono raggruppati in palchi regolari e disposti orizzontalmente e mai penduli (ramificazione simpodiale). I rami secondari sono, invece, disposti lungo il tronco seguendo un andamento a spirale.

Il più grande abete bianco d'Europa è un esemplare alto 50 metri e con una circonferenza di 4,8 metri[2]. Si trova a Lavarone (in Italia, provincia di Trento), in località Malga Laghetto, ed è chiamato dalla gente locale Avez del Prinzipe.

La corteccia, negli esemplari giovani, è liscia, ha un colore bianco-grigio argenteo e presenta delle piccole sacche resinose che, se premute, diffondo odore di trementina; nelle piante più vecchie (oltre i cinquant'anni d'età) la corteccia si ispessisce tendendo a desquamarsi in placche sottili e diventa, partendo dalla base, rugosa, screpolata (fessurata) e di colore tendente al nero.

La corteccia di abete bianco è tra la specie Abies una delle meno ricche in tannino (solo il 5%). Tuttavia, a differenza di altre conifere che possiedono un legno resinoso, nell'abete bianco il legno ne è poco ricco mentre nella corteccia sono presenti delle sacche da cui se ne può estrarre la trementina.

Le foglie sono persistenti (8-10 anni) e costituite da aghi appiattiti, rigidi e inseriti singolarmente e separatamente sui rametti, secondo una disposizione a pettine (cioè come i denti di un doppio pettine). Gli aghi sono lunghi circa 1,5-3 cm e larghi 1,5-2 mm, leggermente ristetti alla base, con la punta arrotondata non pungente e i margini lisci. La pagina superiore, di colore verde scuro, è lucida, mentre quella inferiore presenta due caratteristiche linee parallele biancastre-azzurognole, dette bande stomatifere, che presentano 6-8 file di stomi e canali resiniferi marginali. Altra caratteristica tipica di questa specie sono i rametti coperti da sottili peli di colore bruno chiaro.

Alle nostre latitudini la fioritura dell'abete bianco avviene tra maggio e giugno. Parlare di fioritura delle conifere è in realtà inesatto, dal momento che queste piante sono gimnosperme e non producono fiori come siamo abituati ad intenderli nè frutti. Gli organi riproduttivi consistono di sporofilli raggruppati a formare coni o strobili: gli sporofilli maschili (microsporofilli), cui si deve la formazione del polline, sono riuniti in coni maschili o strobili; gli sporofiti femminili (macrosporofilli) portano alla formazione degli ovuli e sono riuniti in coni femminili (le pigne).

  • I macrosporofilli si rinvengono nella parte superiore dei rametti del primo anno e nella parte alta della chioma. Sono eretti e formano infiorescenze cilindrico-ovali di colore verde o rosso-violaceo, con squame copritrici più lunghe delle squame ovulifere;
  • I microsporofilli fioriscono nella parte centrale e alta della chioma, sono più piccoli e numerosi di quelli femminili, raggruppati sul lato inferiore dei rametti. Hanno forma ovoidale, sono di colore giallastro e presentano due antere che contengono il polline di colore giallo. Il polline viene facilmente trasportato in alto dall'aria calda.

Le strutture comunemente chiamate "pigne" derivano dai coni femminili che possono lignificare e rimanere sui rami. Sono quasi cilindrici, si trovano soprattutto nella parte superiore della chioma e, a differenza dell'abete rosso, sono rivolti verso l'alto. Formati da squame fitte con brattee sporgenti dentate che proteggono i semi all'interno, gli strobili sono lunghi dai 10 ai 18 cm e larghi 3-5 cm; inizialmente di colore verde, diventano rosso-bruno quando giunti a maturità. A settembre-ottobre gli strobili si sfaldano, le squame cadono una ad una insieme ai semi, lasciando l'asse centrale, detto rachide, nudo sul ramo, dove può rimanere anche diversi anni (tipica caratteristica del genere Abies).

La produzione dei semi è piuttosto tardiva, soprattutto per le piante in bosco in quanto avviene dopo i cinquant'anni; trent'anni, invece, per le piante isolate. Le squame degli strobili hanno consistenza legnosa, variano in numero da 150-200 e ogni squama porta due semi. In totale ogni "pigna" contiene circa una cinquantina di semi fertili. Questi sono di forma triangolare, lunghi 6-9 mm, di colore giallo-bruno e presentano un'ala 3-4 volte più grande, saldamente attaccata al seme stesso, che gli permette, una volta liberati, di volteggiare in aria.

Dai semi si ricava l'Olio di abete, che trova impiego e con le seguenti caratteristiche:

L'abete bianco vegeta in zone montane, ad altitudini comprese tra i 400 e i 2100 m s.l.m., trovando il suo climax ideale nelle zone a piovosità e umidità atmosferica medio-alte comprese tra i 900 e i 1800 m. L'abete bianco è una specie sciafila che raramente forma boschi puri (abetine), è invece una componente importante dei boschi misti del piano montano e subalpino, ad esempio può formare estese foreste associandosi al faggio (Fagus sylvatica), albero con il quale condivide esigenze climatiche e pedologiche, mentre a quote subalpine si può trovare associato al larice (Larix decidua) e all'abete rosso (Picea abies), inoltre, nelle Alpi sud-occidentali forma una caratteristica associazione (denominata Rhododendro-Pinetum uncinatae subas. abietosum) con il rododendro rosso (Rhododendron ferrugineum) e con il pino uncinato ( Pinus mugo subsp. uncinata).

L'abete bianco ha un areale di diffusione europeo ampio ma frazionato, caratterizzato da quattro subareali più o meno collegati tra loro e collocati rispettivamente sui rilievi della Germania centro-meridionale, nei Carpazi, sulle catene montuose della penisola balcanica centro settentrionale e lungo la catena alpino-appenninica. Il nucleo principale è sicuramente quello centroeuropeo, dove si possono trovare bellissime abetine come quella della Selva Nera. I genotipi presenti in Italia sono costituiti da quelli di origine balcanica nelle Alpi orientali, e nelle Alpi occidentali da quelli di origine alpino-appenninica.

In nord Italia l'abete bianco è presente sulle Alpi, ma in maniera discontinua: è comune nelle Alpi orientali, mentre è poco diffuso (e talvolta assente su ampi tratti) lungo le aree interne dei settori centrale e occidentale della catena alpina, zone nelle quali le condizioni microclimatiche ed ecologiche favoriscono il larice e (in misura minore) l'abete rosso, ritorna invece ad essere frequente nelle Alpi Marittime e nelle Alpi Liguri.
Nell'Appennino settentrionale l'abete bianco è presente sia con nuclei autoctoni di estensione spesso molto limitata, sia in associazione al faggio, o in foreste vaste e più o meno pure, di origine però quasi sempre silvicolturale; in Centro Italia si trova in gruppi isolati sui Monti della Laga e nel bacino del Trigno.
Nel Meridione lo si rinviene in popolamenti rari sia nell'Appennino lucano e sia nell'Appennino calabro: in Basilicata, lo si ritrova nella Riserva regionale Abetina di Laurenzana e nel versante settentrionale Parco Nazionale del Pollino, associato al faggio; in Calabria lo si rinviene oltre che in Aspromonte, anche sulle Serre calabresi. In queste zone è degno di nota il Bosco di Archiforo, nel comune di Serra San Bruno, dove sono impressionanti le dimensioni delle piante.

Le abetine appenniniche, soprattutto quelle toscane, sono, però, da considerare in gran parte non naturali, in quanto sono il risultato di interventi umani di rimboschimento attuati dai granducati e da alcuni ordini monastici oppure sono il prodotto di una selezione, operata all'interno di foreste miste (faggio e abete bianco), che ha favorito la conifera a discapito della latifoglia. Le zone appenniniche dove tale pianta cresce spontanea sono soprattutto il bosco intorno all'Eremo di Camaldoli, nelle Foreste Casentinesi, e a sud del monte Amiata zone in cui l'abete bianco, seppure autoctono, è stato comunque favorito dai tagli selettivi; assai interessante è infine il bosco formato da abete bianco, in associazione con il pino mugo (Pinus mugo subsp. mugo), che si sviluppa in prossimità della vetta del Monte Nero (1752 m) nell'Appennino Ligure orientale e che rappresenta l'estremo lembo relitto di una fitocenosi ad abete bianco e pino mugo, che pare sia stata molto diffusa in tempi preistorici (grossomodo dal 6000 all'800 A.C.) su gran parte dell'Appennino settentrionale e che oggi è attestata da rilievi palinologici.

Diffusione in calo

Durante gli ultimi anni l'abete bianco ha subito una diminuzione di numero. Ad esempio, in 15 anni, nell'Altipiano svizzero, l'abete bianco è diminuito di circa l'11% e attualmente esso rappresenta solo il 13% degli alberi, cifra decisamente inferiore al 37% del più diffuso abete rosso.[3] Tale diminuzione è in gran parte dovuta all'azione antropica (cioè dell'uomo) che, nella maggior parte dei casi, ha sfavorito questa conifera a favore di altre piante, in particolar modo del faggio, oppure l'ha eliminata per dar vita ad ampi pascoli. Da non sottovalutare anche il taglio delle giovani piante per l'utilizzo come albero di Natale.

Il ritiro dell'areale dell'abete bianco è comunque un fenomeno generalizzato che si registra a partire dagli ultimi 2000 anni. Le cause non sono ancora state accertate, ma sono probabilmente da ricercarsi nelle variazioni climatiche e nell'azione antropica.

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